martedì 22 luglio 2008

IZOARD E GALIBIER 2008: UN VIAGGIO A RITROSO NEL PASSATO

1) Le Monetier-Les-Bains (1.450 m. slm)/Briançon (1.200 m. slm)/Col d’Izoard (2.360 m. slm)

2) Briançon (1.200 m. slm)/Col du Lautaret (2.058 m. slm)/Col du Galibier (2.645 m. slm)/Le Monetier-Le-Bains (1.450 m. slm)

Percorsi 115 Km circa.
Dislivello complessivo : circa 2.800 m. (inclusa la salita alla Ville Haute di Briançon)

Giornata davvero memorabile, martedì 22 luglio 2008. Arrivato a Briançon dopo un impegno di lavoro a Torino, raggiungo la ridente località di Le Monetier-Les-Bain,  dove trovo solo una camera di fortuna senza bagno in un piacevole albergo dove sono già stato varie volte in passato. La cittadina, i bistrot e gli hotel pullulano di ciclisti americani, olandesi, tedeschi, lussemburghesi e persino australiani in attesa del passaggio del Tour de France domani sul Col du Galibier.
Il mio piano originario prevedeva: martedì pomeriggio discesa in bici sino a Briançon, salita al Col d’Izoard e quindi ai due colli del Monginevro e dell’Echelle, poi ritorno all’albergo. Mercoledì: salita all’alba sino al Galibier per vedere il Tour. Ma poi, come spiegherò più avanti, questo programma si è continuamente modificato in corso d’opera…
Inforco subito la mia Colnago da granturismo e il solito zaino super-attrezzato (oltre 6 Kg, c’è tutto l’occorrente, ha i suoi vantaggi, ma è come portare l’incredibile Hulk sulle spalle) e affronto i 18 Km circa in lieve discesa che conducono a Briançon e poi all’attacco dell’Izoard, versante Nord. La giornata è splendida con un cielo completamente sereno. Sono proprio fortunato. Dopo 3 Km circa di impegnativa salita si prosegue in falsopiano per altri 3-4 Km sino a Cervières. Ho già percorso questa strada in discesa nel 2003 durante la Gran Fondo Luc Alphand dove ero andato forte scalando l’Izoard dal versante Sud e poi il durissimo Col du Granon (più di 15 Km al 10%) in cima al quale era posto il traguardo della corsa. Bei ricordi. Poco dopo Cervières raggiungo un commerciante di vini di Parigi sulla quarantina con cui proseguirò sino al passo. Rallento l’andatura ed approfittiamo per fare un po’ di chiacchiere, comprese varie riflessioni su Riccò e il doping. Pedaliamo molto tranquilli.
Nella parte conclusiva la strada si impenna e tocca anche punte al 10% (ma i cartelli chilometrici con le indicazioni delle pendenze medie sono clamorosamente tutti sbagliati). Aspetto cavallerescamente il mio compagno e tengo bassa l’andatura: non vorrei che pensasse che gli italiani sono tutti dopati. C’è una prima serie di tornanti, poi si arriva al Refuge Napoléon (quasi tutti i passi francesi hanno un rifugio Napoléon nelle vicinanze, ne ricordo anche uno prima del Col de Vars e uno prima del Col de l’Agnel); quindi alcuni altri ampi tornanti portano in breve al Col d’Izoard.
Decidiamo di scendere per circa 2 Km e mezzo dal lato opposto sino alla spettacolare Casse Déserte, dove su un enorme masso sono poste le due famose targhe a ricordo di Coppi e Bobet. Fatte alcune fotografie risaliamo al Passo. Il panorama è davvero selvaggio. Chissà come doveva essere dura questa strada ai tempi di Coppi quando ancora non era asfaltata! Risaliti al Col d’Izoard saluto il compagno francese. Lui scende subito a Briançon, mentre io mi fermo a mangiare un panino seduto ad un tavolaccio di legno, circondato da un gruppo di giovani ciclisti olandesi dotati di biciclette ultraleggere con ruote in carbonio avveniristiche i quali ostentano grande sicurezza e di tanto in tanto guardano il mio zaino con evidente disapprovazione. Li ritroverò più tardi a Briançon fermi ad un incrocio, indecisi se salire o meno il drittone di un chilometro al 10-12% che porta alla Città Alta. A quel punto non ho saputo resistere alla tentazione di lasciarli sul posto. Senza alcuna esitazione li ho superati facendo loro un cenno disinvolto di saluto e, nonostante il peso del mio goffo zaino da cicloturista in pensione, gli sono scattato in faccia e sono salito sino in cima con apparente facilità (almeno questo è ciò che ho dato loro a vedere) a 11-12 Km/h senza mai mollare, ma in realtà arrivando con la lingua a penzoloni. Lì, alle porte murate di Briançon, dove lo scorso anno Soler giunse primo al traguardo della Tappa del Tour, guardo verso l’Italia il Colle del Monginevro che, in base ai miei piani, dovrei ora scalare come seconda tappa della giornata. “Ma chi me lo fa fare? – penso. Un passo così insignificante e trafficatissimo, pieno di autobus che esalano gas di scarico”. In un attimo partorisco un nuovo progetto più ambizioso. Decido di scalare anche oggi, anticipatamente, il Col du Galibier. “Non è un problema – cerco di convincermi -  domani lo farò una seconda volta. E poi così sono già sulla strada dell’albergo”.
Lasciata Briançon, mi trovo però a dover affrontare subito un fortissimo vento contrario che mi demoralizza parecchio. Infatti, in queste condizioni il tratto in lieve salita di quasi 15 Km verso Le Monetier-Les-Bains rischia di diventare piuttosto faticoso. E ad un certo momento penso di aver sbagliato tutto. Forse era meglio il programma originario… Arrivato all’albergo mangio un altro panino in giardino e, fatto un rapido rifornimento di bevande, riparto stoicamente per il Col du Lautaret che dista altri 14 Km. Ma la musica non cambia e, anzi, il vento si fa sempre più implacabile. Proseguo a 15-16 Km/h su una strada che normalmente potrei salire a 20 Km/h e anche più. Le folate non danno tregua ma proseguo con pazienza, poi vedo avvicinarsi a poco a poco la depressione del passo, preceduta da una lunga galleria. La salita ora diventa entusiasmante perché ai bordi della strada comincia una interminabile teoria di camper di appassionati, saliti sin quassù già oggi per attendere il passaggio della Grande Boucle. Fanno il tifo anche per noi cicloturisti. Al Col du Lautaret c’è una folla immensa. La polizia ha già chiuso da mezzogiorno l’accesso al Col du Galibier alle auto. Una signora italiana mi chiede notizie sul percorso della tappa di domani e poi si meraviglia che io abbia ancora il coraggio di proseguire sino in vetta al Galibier. “Voi ciclisti siete dei matti…”. Se sapesse che due ore prima ero in cima all’Izoard e che ho già fatto più di 80 Km.
 Al Col du Galibier sono già stato due volte. Nel 2003 ci ero passato in auto salendo da Briançon con la famiglia: il giorno prima avevo gareggiato alla citata Luc Alphand. Poi nel 2005 l’avevo salito dall’altro versante, quello più duro, preceduto dal Col du Télégraphe, in occasione della mitica “Marmotte” che avevo concluso dignitosamente portandomi sulle spalle il solito zaino “zavorra”. Quel giorno scendendo dal Galibier c’era stata anche pioggia sino alla diga di Chambon. Ricordo la paura e il freddo alle mani. Ma poi, arrivati a Bourg-d’Oisans, era uscito il sole ed era scoppiato un gran caldo che mi aveva tagliato le gambe nella salita conclusiva all’Alpe d’Huez. Solo negli ultimi 4-5 Km avevo ritrovato il ritmo giusto. Oggi salgo per la prima volta il Galibier dal lato Sud: è meno duro ma non meno spettacolare. Sulla strada ci sono anche qui molti camper che evidentemente erano riusciti a passare prima che cominciassero i posti di blocco. Alcuni veicoli sono parcheggiati pericolosamente in prossimità di scoscesi burroni, tanto che sembra quasi che una improvvisa raffica di vento potrebbe essere sufficiente a farli precipitare a valle. Viene da chiedersi come faranno a dormire tranquilli lì dentro stanotte.
I traversi lungo la montagna e i tornanti sono davvero suggestivi. Sembra quasi di percorrere una strada verso il cielo, il quale si fa sempre più blu a mano a mano che si sale. Ogni tanto improvvise folate gelide spostano lateralmente la bici verso il ciglio della carreggiata e i dirupi che scorgo con la coda dell’occhio mi fanno venire i brividi lungo la schiena assai più del vento freddo. Salgono assieme a me molti altri ciclisti. Alcuni passano velocissimi con piglio alla Andy Schleck, ma non bisogna farsi demoralizzare. Infatti, tanti sono partiti appena 3-4 Km prima belli freschi e riposati dal Col du Lautaret. Sento ormai affiorare una certa stanchezza e soprattutto la fame. Raggiunto il Rifugio del Galibier, un paio di Km prima del Passo, mi fermo a mangiare un paio di tartes ai frutti di bosco. Bevo un caffè lungo e compro, oltre ad una fresca aranciata da travasare nella borraccia, anche una birra “Galibier” da portare a casa per ricordo (un altro peso nello zaino!). In un attimo raggiungo la cima, dove mi fermo a parlare un po’ con un simpatico ciclista tedesco salito dall’altro versante. Sta aspettando la moglie. La scorgiamo giù in basso, distante ancora 2-3 Km dal Colle, mentre pedala molto lentamente. La attendono ancora le pendenze più dure: quelle degli ultimi due tornanti prima del valico, me li ricordo bene…
La discesa dal Col du Galibier è pericolosissima. Quella del 2005 sotto una pioggerellina gelata mi è rimasta impressa nella memoria. Oggi al secondo tornante faccio lo stesso errore che ho visto fare a Pantani quando vinse il Tour nel 1998. Proprio alcuni giorni fa ho riguardato il DVD della corsa: il Pirata non riusciva a mettersi la mantellina e alla seconda curva andò lungo. Decise quindi prudentemente di fermarsi per vestirsi con calma. Anch’io oggi vado lungo alla stessa curva ma senza l’attenuante della mantellina. Dopo lo spavento, scendo perciò con ancor maggiore cautela del solito.
Tanti pensieri passano per la mente durante una giornata come questa, che è stata un po’ come un viaggio nel passato. Mi rendo conto di aver quasi percorso tutto il tracciato della Luc Alphand del 2005 a cui mi ero iscritto ma a cui non avevo potuto prendere parte a causa del maltempo. La gara si doveva svolgere la domenica, il giorno dopo la “Marmotte” a cui avevo appena partecipato. Sarebbe stato un bel bis: due Granfondo in due giorni, a quei tempi potevo ancora permettermelo… Ma durante la notte scoppiò un diluvio universale. La mattina perciò mi alzai alle 5 e fuggii verso l’Italia risalendo faticosamente con l’auto un fiume d’acqua che scendeva impetuoso lungo l’asfalto tortuoso del Monginevro.
Oggi la giornata è tutta un’altra cosa. Non c’è una nuvola all’orizzonte guardando verso Sud. Solo in cima al Galibier c’era qualche addensamento in direzione della Vanoise. Raggiunta in discesa l’interminabile fila di camper parcheggiati nei primi 3 Km della salita sono colpito dall’esplosione di odori provenienti dalle cucine da campo e dai barbeçue attorno ai quali i turisti sono già intenti a lavorare febbrilmente. Sono le sei e mezzo di sera ormai. Cibi di tutti i tipi (peperonate, salsicce, costine, crauti, ecc.) stanno cuocendo lì a pochi passi mentre io sfilo con la mia bici in carbonio ad elegante andatura cercando di darmi un contegno ma con lo stomaco vuoto. In un attimo raggiungo il Col du Lautaret e poi mi butto a capofitto verso valle. Ma chi l’ha detto che quella dal Lautaret a Briançon è una discesa con molti falsipiani dove bisogna spesso pedalare? Grazie anche al vento a favore raramente mi tocca farlo e non scendo mai sotto i 45-50 Km/h sino a Le Monetier-Les Bains, dove mi precipito nel ristorante dell’albergo per una meritata e assai desiderata cena.
La nostalgia di casa e della famiglia, le preoccupazioni per il lavoro arretrato e il fatto di aver già scalato oggi il Galibier, oltre alla non trascurabile circostanza che il giorno dopo le strade sarebbero state chiuse alle auto sino alle 4 del pomeriggio, mi spingono a non rimanere per vedere il passaggio del Tour de France. Cambio perciò ancora programma: tutto sinora è andato liscio come l’olio, meglio non strafare. Come già avvenuto nel 2005, alle 5 del mattino lascio nuovamente l’albergo alla chetichella e fuggo verso l’Italia prima che il traffico automobilistico venga bloccato. Fare l’Izoard e il Galibier in un solo giorno è stata già una bella impresa, che conserverò per sempre nei miei ricordi.

Marco Fortis