1) Le Monetier-Les-Bains
(1.450 m. slm)/Briançon (1.200 m. slm)/Col d’Izoard (2.360 m. slm)
2) Briançon (1.200 m.
slm)/Col du Lautaret (2.058 m. slm)/Col du Galibier (2.645 m. slm)/Le
Monetier-Le-Bains (1.450 m. slm)
Percorsi 115 Km circa.
Dislivello complessivo : circa 2.800 m. (inclusa la salita alla
Ville Haute di Briançon)
Giornata davvero memorabile,
martedì 22 luglio 2008. Arrivato a Briançon dopo un impegno di lavoro a Torino,
raggiungo la ridente località di Le Monetier-Les-Bain, dove trovo solo una camera di fortuna senza
bagno in un piacevole albergo dove sono già stato varie volte in passato. La
cittadina, i bistrot e gli hotel pullulano di ciclisti americani, olandesi,
tedeschi, lussemburghesi e persino australiani in attesa del passaggio del Tour
de France domani sul Col du Galibier.
Il mio piano originario
prevedeva: martedì pomeriggio discesa in bici sino a Briançon, salita al Col
d’Izoard e quindi ai due colli del Monginevro e dell’Echelle, poi ritorno
all’albergo. Mercoledì: salita all’alba sino al Galibier per vedere il Tour. Ma
poi, come spiegherò più avanti, questo programma si è continuamente modificato
in corso d’opera…
Inforco subito la mia Colnago da
granturismo e il solito zaino super-attrezzato (oltre 6 Kg, c’è tutto
l’occorrente, ha i suoi vantaggi, ma è come portare l’incredibile Hulk sulle
spalle) e affronto i 18 Km circa in lieve discesa che conducono a Briançon e
poi all’attacco dell’Izoard, versante Nord. La giornata è splendida con un
cielo completamente sereno. Sono proprio fortunato. Dopo 3 Km circa di
impegnativa salita si prosegue in falsopiano per altri 3-4 Km sino a Cervières.
Ho già percorso questa strada in discesa nel 2003 durante la Gran Fondo Luc
Alphand dove ero andato forte scalando l’Izoard dal versante Sud e poi il
durissimo Col du Granon (più di 15 Km al 10%) in cima al quale era posto il
traguardo della corsa. Bei ricordi. Poco dopo Cervières raggiungo un
commerciante di vini di Parigi sulla quarantina con cui proseguirò sino al
passo. Rallento l’andatura ed approfittiamo per fare un po’ di chiacchiere,
comprese varie riflessioni su Riccò e il doping. Pedaliamo molto tranquilli.
Nella parte conclusiva la strada
si impenna e tocca anche punte al 10% (ma i cartelli chilometrici con le
indicazioni delle pendenze medie sono clamorosamente tutti sbagliati). Aspetto
cavallerescamente il mio compagno e tengo bassa l’andatura: non vorrei che
pensasse che gli italiani sono tutti dopati. C’è una prima serie di tornanti,
poi si arriva al Refuge Napoléon (quasi tutti i passi francesi hanno un rifugio
Napoléon nelle vicinanze, ne ricordo anche uno prima del Col de Vars e uno
prima del Col de l’Agnel); quindi alcuni altri ampi tornanti portano in breve
al Col d’Izoard.
Decidiamo di scendere per circa 2
Km e mezzo dal lato opposto sino alla spettacolare Casse Déserte, dove su un
enorme masso sono poste le due famose targhe a ricordo di Coppi e Bobet. Fatte
alcune fotografie risaliamo al Passo. Il panorama è davvero selvaggio. Chissà
come doveva essere dura questa strada ai tempi di Coppi quando ancora non era
asfaltata! Risaliti al Col d’Izoard saluto il compagno francese. Lui scende
subito a Briançon, mentre io mi fermo a mangiare un panino seduto ad un
tavolaccio di legno, circondato da un gruppo di giovani ciclisti olandesi
dotati di biciclette ultraleggere con ruote in carbonio avveniristiche i quali
ostentano grande sicurezza e di tanto in tanto guardano il mio zaino con
evidente disapprovazione. Li ritroverò più tardi a Briançon fermi ad un
incrocio, indecisi se salire o meno il drittone di un chilometro al 10-12% che
porta alla Città Alta. A quel punto non ho saputo resistere alla tentazione di
lasciarli sul posto. Senza alcuna esitazione li ho superati facendo loro un
cenno disinvolto di saluto e, nonostante il peso del mio goffo zaino da
cicloturista in pensione, gli sono scattato in faccia e sono salito sino in
cima con apparente facilità (almeno questo è ciò che ho dato loro a vedere) a
11-12 Km/h senza mai mollare, ma in realtà arrivando con la lingua a penzoloni.
Lì, alle porte murate di Briançon, dove lo scorso anno Soler giunse primo al
traguardo della Tappa del Tour, guardo verso l’Italia il Colle del Monginevro
che, in base ai miei piani, dovrei ora scalare come seconda tappa della
giornata. “Ma chi me lo fa fare? – penso. Un passo così insignificante e
trafficatissimo, pieno di autobus che esalano gas di scarico”. In un attimo
partorisco un nuovo progetto più ambizioso. Decido di scalare anche oggi,
anticipatamente, il Col du Galibier. “Non è un problema – cerco di convincermi
- domani lo farò una seconda volta. E
poi così sono già sulla strada dell’albergo”.
Lasciata Briançon, mi trovo però
a dover affrontare subito un fortissimo vento contrario che mi demoralizza
parecchio. Infatti, in queste condizioni il tratto in lieve salita di quasi 15
Km verso Le Monetier-Les-Bains rischia di diventare piuttosto faticoso. E ad un
certo momento penso di aver sbagliato tutto. Forse era meglio il programma
originario… Arrivato all’albergo mangio un altro panino in giardino e, fatto un
rapido rifornimento di bevande, riparto stoicamente per il Col du Lautaret che
dista altri 14 Km. Ma la musica non cambia e, anzi, il vento si fa sempre più
implacabile. Proseguo a 15-16 Km/h su una strada che normalmente potrei salire
a 20 Km/h e anche più. Le folate non danno tregua ma proseguo con pazienza, poi
vedo avvicinarsi a poco a poco la depressione del passo, preceduta da una lunga
galleria. La salita ora diventa entusiasmante perché ai bordi della strada
comincia una interminabile teoria di camper di appassionati, saliti sin quassù
già oggi per attendere il passaggio della Grande Boucle. Fanno il tifo anche
per noi cicloturisti. Al Col du Lautaret c’è una folla immensa. La polizia ha
già chiuso da mezzogiorno l’accesso al Col du Galibier alle auto. Una signora
italiana mi chiede notizie sul percorso della tappa di domani e poi si
meraviglia che io abbia ancora il coraggio di proseguire sino in vetta al
Galibier. “Voi ciclisti siete dei matti…”. Se sapesse che due ore prima ero in
cima all’Izoard e che ho già fatto più di 80 Km.
Al Col du Galibier sono già stato due volte. Nel 2003 ci ero passato in auto salendo da Briançon con la famiglia: il giorno prima avevo gareggiato alla citata Luc Alphand. Poi nel 2005 l’avevo salito dall’altro versante, quello più duro, preceduto dal Col du Télégraphe, in occasione della mitica “Marmotte” che avevo concluso dignitosamente portandomi sulle spalle il solito zaino “zavorra”. Quel giorno scendendo dal Galibier c’era stata anche pioggia sino alla diga di Chambon. Ricordo la paura e il freddo alle mani. Ma poi, arrivati a Bourg-d’Oisans, era uscito il sole ed era scoppiato un gran caldo che mi aveva tagliato le gambe nella salita conclusiva all’Alpe d’Huez. Solo negli ultimi 4-5 Km avevo ritrovato il ritmo giusto. Oggi salgo per la prima volta il Galibier dal lato Sud: è meno duro ma non meno spettacolare. Sulla strada ci sono anche qui molti camper che evidentemente erano riusciti a passare prima che cominciassero i posti di blocco. Alcuni veicoli sono parcheggiati pericolosamente in prossimità di scoscesi burroni, tanto che sembra quasi che una improvvisa raffica di vento potrebbe essere sufficiente a farli precipitare a valle. Viene da chiedersi come faranno a dormire tranquilli lì dentro stanotte.
I traversi lungo la montagna e i tornanti sono davvero suggestivi. Sembra quasi di percorrere una strada verso il cielo, il quale si fa sempre più blu a mano a mano che si sale. Ogni tanto improvvise folate gelide spostano lateralmente la bici verso il ciglio della carreggiata e i dirupi che scorgo con la coda dell’occhio mi fanno venire i brividi lungo la schiena assai più del vento freddo. Salgono assieme a me molti altri ciclisti. Alcuni passano velocissimi con piglio alla Andy Schleck, ma non bisogna farsi demoralizzare. Infatti, tanti sono partiti appena 3-4 Km prima belli freschi e riposati dal Col du Lautaret. Sento ormai affiorare una certa stanchezza e soprattutto la fame. Raggiunto il Rifugio del Galibier, un paio di Km prima del Passo, mi fermo a mangiare un paio di tartes ai frutti di bosco. Bevo un caffè lungo e compro, oltre ad una fresca aranciata da travasare nella borraccia, anche una birra “Galibier” da portare a casa per ricordo (un altro peso nello zaino!). In un attimo raggiungo la cima, dove mi fermo a parlare un po’ con un simpatico ciclista tedesco salito dall’altro versante. Sta aspettando la moglie. La scorgiamo giù in basso, distante ancora 2-3 Km dal Colle, mentre pedala molto lentamente. La attendono ancora le pendenze più dure: quelle degli ultimi due tornanti prima del valico, me li ricordo bene…
Al Col du Galibier sono già stato due volte. Nel 2003 ci ero passato in auto salendo da Briançon con la famiglia: il giorno prima avevo gareggiato alla citata Luc Alphand. Poi nel 2005 l’avevo salito dall’altro versante, quello più duro, preceduto dal Col du Télégraphe, in occasione della mitica “Marmotte” che avevo concluso dignitosamente portandomi sulle spalle il solito zaino “zavorra”. Quel giorno scendendo dal Galibier c’era stata anche pioggia sino alla diga di Chambon. Ricordo la paura e il freddo alle mani. Ma poi, arrivati a Bourg-d’Oisans, era uscito il sole ed era scoppiato un gran caldo che mi aveva tagliato le gambe nella salita conclusiva all’Alpe d’Huez. Solo negli ultimi 4-5 Km avevo ritrovato il ritmo giusto. Oggi salgo per la prima volta il Galibier dal lato Sud: è meno duro ma non meno spettacolare. Sulla strada ci sono anche qui molti camper che evidentemente erano riusciti a passare prima che cominciassero i posti di blocco. Alcuni veicoli sono parcheggiati pericolosamente in prossimità di scoscesi burroni, tanto che sembra quasi che una improvvisa raffica di vento potrebbe essere sufficiente a farli precipitare a valle. Viene da chiedersi come faranno a dormire tranquilli lì dentro stanotte.
I traversi lungo la montagna e i tornanti sono davvero suggestivi. Sembra quasi di percorrere una strada verso il cielo, il quale si fa sempre più blu a mano a mano che si sale. Ogni tanto improvvise folate gelide spostano lateralmente la bici verso il ciglio della carreggiata e i dirupi che scorgo con la coda dell’occhio mi fanno venire i brividi lungo la schiena assai più del vento freddo. Salgono assieme a me molti altri ciclisti. Alcuni passano velocissimi con piglio alla Andy Schleck, ma non bisogna farsi demoralizzare. Infatti, tanti sono partiti appena 3-4 Km prima belli freschi e riposati dal Col du Lautaret. Sento ormai affiorare una certa stanchezza e soprattutto la fame. Raggiunto il Rifugio del Galibier, un paio di Km prima del Passo, mi fermo a mangiare un paio di tartes ai frutti di bosco. Bevo un caffè lungo e compro, oltre ad una fresca aranciata da travasare nella borraccia, anche una birra “Galibier” da portare a casa per ricordo (un altro peso nello zaino!). In un attimo raggiungo la cima, dove mi fermo a parlare un po’ con un simpatico ciclista tedesco salito dall’altro versante. Sta aspettando la moglie. La scorgiamo giù in basso, distante ancora 2-3 Km dal Colle, mentre pedala molto lentamente. La attendono ancora le pendenze più dure: quelle degli ultimi due tornanti prima del valico, me li ricordo bene…
La discesa dal Col du Galibier è
pericolosissima. Quella del 2005 sotto una pioggerellina gelata mi è rimasta
impressa nella memoria. Oggi al secondo tornante faccio lo stesso errore che ho
visto fare a Pantani quando vinse il Tour nel 1998. Proprio alcuni giorni fa ho
riguardato il DVD della corsa: il Pirata non riusciva a mettersi la mantellina
e alla seconda curva andò lungo. Decise quindi prudentemente di fermarsi per
vestirsi con calma. Anch’io oggi vado lungo alla stessa curva ma senza
l’attenuante della mantellina. Dopo lo spavento, scendo perciò con ancor
maggiore cautela del solito.
Tanti pensieri passano per la
mente durante una giornata come questa, che è stata un po’ come un viaggio nel
passato. Mi rendo conto di aver quasi percorso tutto il tracciato della Luc
Alphand del 2005 a cui mi ero iscritto ma a cui non avevo potuto prendere parte
a causa del maltempo. La gara si doveva svolgere la domenica, il giorno dopo la
“Marmotte” a cui avevo appena partecipato. Sarebbe stato un bel bis: due
Granfondo in due giorni, a quei tempi potevo ancora permettermelo… Ma durante
la notte scoppiò un diluvio universale. La mattina perciò mi alzai alle 5 e
fuggii verso l’Italia risalendo faticosamente con l’auto un fiume d’acqua che
scendeva impetuoso lungo l’asfalto tortuoso del Monginevro.
Oggi la giornata è tutta un’altra
cosa. Non c’è una nuvola all’orizzonte guardando verso Sud. Solo in cima al
Galibier c’era qualche addensamento in direzione della Vanoise. Raggiunta in
discesa l’interminabile fila di camper parcheggiati nei primi 3 Km della salita
sono colpito dall’esplosione di odori provenienti dalle cucine da campo e dai
barbeçue attorno ai quali i turisti sono già intenti a lavorare febbrilmente.
Sono le sei e mezzo di sera ormai. Cibi di tutti i tipi (peperonate, salsicce,
costine, crauti, ecc.) stanno cuocendo lì a pochi passi mentre io sfilo con la
mia bici in carbonio ad elegante andatura cercando di darmi un contegno ma con
lo stomaco vuoto. In un attimo raggiungo il Col du Lautaret e poi mi butto a
capofitto verso valle. Ma chi l’ha detto che quella dal Lautaret a Briançon è
una discesa con molti falsipiani dove bisogna spesso pedalare? Grazie anche al
vento a favore raramente mi tocca farlo e non scendo mai sotto i 45-50 Km/h
sino a Le Monetier-Les Bains, dove mi precipito nel ristorante dell’albergo per
una meritata e assai desiderata cena.
La nostalgia di casa e della
famiglia, le preoccupazioni per il lavoro arretrato e il fatto di aver già
scalato oggi il Galibier, oltre alla non trascurabile circostanza che il giorno
dopo le strade sarebbero state chiuse alle auto sino alle 4 del pomeriggio, mi
spingono a non rimanere per vedere il passaggio del Tour de France. Cambio
perciò ancora programma: tutto sinora è andato liscio come l’olio, meglio non
strafare. Come già avvenuto nel 2005, alle 5 del mattino lascio nuovamente
l’albergo alla chetichella e fuggo verso l’Italia prima che il traffico
automobilistico venga bloccato. Fare l’Izoard e il Galibier in un solo giorno è
stata già una bella impresa, che conserverò per sempre nei miei ricordi.
Marco Fortis