domenica 9 luglio 2006

QUEL MONDIALE DI CALCIO SUL MONT VENTOUX

Il made in Italy conquista il Ventoux

Spesso gli italiani riscoprono il loro sentimento di identità nazionale in occasione di importanti vittorie sportive.
Basti pensare alle straordinarie emozioni collettive suscitate dai nostri successi del 1982 e del 2006 nei mondiali di calcio o da quelli della Ferrari in Formula uno. Ma anche ai trionfi della “valanga azzurra” nello sci, di Valentino Rossi nel motociclismo o di Federica Pellegrini nel nuoto, sino alle grandi imprese nel ciclismo, come quando Marco Pantani ha vinto nello stesso anno il Giro d’Italia e il Tour de France nel 1998 o Paolo Bettini conquistò l’oro su strada alle Olimpiadi di Atene del 2004.
Nel 2006 anche a chi scrive è capitato di provare l’emozione e l’orgoglio di sentirsi profondamente italiano, per di più in terra straniera, grazie a vicende legate allo sport (ma non solo). L’8 luglio avevo raggiunto con la famiglia la Provenza e avevo preso alloggio in un piccolo albergo nella ridente cittadina di Sault, circondata da coloratissimi campi di lavanda. L’indomani mi attendeva un’impresa importante come cicloamatore: la scalata tre volte nello stesso giorno del Mont Ventoux, da altrettanti versanti diversi. Questo famoso brevetto, gestito con grande passione da Christian Pic, è denominato “i forzati del Mont Ventoux” (www.clubcinglesventoux.org/). Prevede la triplice ascensione in bicicletta, su strada asfaltata, della famosa vetta francese più volte raggiunta dal Tour de France, con partenze da Sault, Bédoin e Malaucène, per complessivi 4.443 metri di dislivello e circa 140 Km di percorso, tra salite e discese. Per la verità esiste anche un brevetto dei “galeotti del Mont Ventoux”, che oltre alle tre salite citate ne prevede anche una quarta, da effettuarsi sempre nella stessa giornata ma con la mountain bike risalendo una strada forestale, nel qual caso il dislivello totale si eleva a ben 6.052 metri.
Il Mont Ventoux, spazzato da venti fortissimi, fino a 1.500 metri è ricoperto da una lussureggiante vegetazione mediterranea, poi diventa totalmente deserto e sulla sua cima spicca la sagoma gigantesca della famosa torre-osservatorio visibile sin da decine di chilometri di distanza. I due brevetti del Mont Ventoux sono stati fino ad oggi conseguiti da 3.546 ciclisti di tutto il mondo, tra cui figurano 219 cicloamatori italiani.
Il 9 luglio è il gran giorno. Mi sveglio di buon’ora per partire alla volta del “gigante della Provenza”. Potrò così festeggiare i miei 50 anni da poco compiuti in modo degno ma anche consono all’età, senza fretta e particolari pressioni agonistiche, visto che ormai non gareggio più a buon livello da parecchio tempo e sono poco allenato. Mi conforta comunque il fatto che la settimana prima sono riuscito a concludere la Granfondo Fausto Coppi di Cuneo in meno di dieci ore senza un’adeguata preparazione. Dunque un po’ di fondo ce l’ho ancora. Mi spaventa soltanto il vento, che è spesso fortissimo in altitudine, nei pressi del Col de Tempêtes.
Con spirito garibaldino comincio la prima salita alle sei del mattino. Il versante da Sault è il meno impegnativo dei tre. Presenta un dislivello di “soli” 1.180 metri ed il percorso è lungo circa 26 Km. Lasciati i campi di lavanda punteggiati di viola, prima di entrare nel bosco ho un inaspettato e gradito incontro con tre caprioli che in una valletta laterale alla strada percorrono, spaventati, un buon chilometro correndomi a fianco. C’è un sole splendido. L’ascensione è agevole fino a che non sbocca a Chalet Reynard. Da qui per arrivare alla vetta bisogna percorrere ancora circa 6 Km e mezzo: è la parte più dura, con una pendenza che non scende mai sotto il 7,5% e tocca per lunghi tratti il 9-10%. Fortunatamente oggi c’è poco vento.
Arrivato in cima, timbro il mio cartellino e scendo immediatamente a Bédoin, che si sta appena svegliando. La cittadina però già pullula di cicloamatori delle più diverse nazionalità giunti da ogni parte del mondo per scalare il Mont Ventoux. Timbro la carta di viaggio presso il negozio di un ciclista che ha appena alzato le saracinesche e noleggia biciclette e attrezzature di ogni genere. Quella da Bédoin è l’ascensione più impegnativa ed è il percorso classico del Tour de France: 21,5 Km e un dislivello di 1.610 metri. Dopo la curva di Saint-Estève, la strada si inerpica nel bosco di cedri e pini marittimi per ben 9 Km con una pendenza media del 9,5% che non lascia respiro fino a quando non si raggiungono gli ultimi 6 Km e mezzo, che sono gli stessi più ostici della prima salita ma che a questo punto sembrano quasi facili.

Arrivato per la seconda volta in vetta mi fermo per una mezz’ora a guardare il panorama, grandioso sul fondovalle; mangio qualche panino e bevo in abbondanza. Nel frattempo molti ciclisti francesi, ma anche belgi, americani ed olandesi si sono avvicinati per ammirare la mia fiammante bicicletta Colnago C50 montata con un gruppo Campagnolo Record: due miti del “made in Italy”. La loro ammirazione aumenta quando spiego che sto effettuando il brevetto della triplice salita nello stesso giorno mentre essi sono saliti sul monte una sola volta e appaiono piuttosto provati. L’economista prevale per qualche minuto sul ciclista e spiego alla piccola folla che si è riunita intorno a me, con un certo orgoglio, che il “made in Italy” è fatto di innovazione continua e di innumerevoli leadership di nicchia. Colnago è il massimo dei telai da corsa (nel 2011 la casa lombarda ha lanciato la sua ultima creazione, la strepitosa C59) mentre in un decennio la vicentina Campagnolo, grazie al carbonio ed innovazioni continue, ha ridotto il peso degli accessori di una bici da corsa di oltre 1 Kg (considerando insieme ruote, freni, pedivelle, corone, pignoni e cambio).
Gli italiani, come cicloamatori, sono famosi in tutto il mondo. Non soltanto perché possiedono le bici più belle ma anche perché sono numerosissimi ed affollano le più impegnative corse amatoriali come la Maratona delle Dolomiti, la Nove Colli di Cesenatico, la Marmotte in Francia o la Oetztaler Marathon in Austria. Una nazione che ha così tanti cicloamatori e gente disposta a far fatica sulle due ruote non può che essere un Paese di grandi lavoratori e di gente di successo.

La terza salita, quella da Malaucène, mi sembra la più dura, forse perché è l’ultima e la effettuo tutta sotto un sole cocente. Presenta un dislivello di 1.570 metri ed è lunga 21 Km, quattro dei quali hanno oltre il 9,5% di pendenza media con punte superiori al 10-11%. Rispetto all’affollato e cosmopolita percorso da Bédoin su questo versante incontro solo alcuni isolati ciclisti locali che scendono a valle. Non c’è acqua da nessuna parte. Sorseggio con prudenza i pochi liquidi rimasti nella borraccia. Poco dopo le due del pomeriggio sono finalmente in cima per la terza volta: eccomi diventato “forzato” del Mont Ventoux (con il numero di omologazione 1.646)!
Ma la giornata non è ancora finita. A sera nella piazzetta di Sault tutti i bar e i ristoranti hanno i televisori accesi: sta per cominciare la finale del Campionato del mondo di calcio allo Stadio Olimpico di Berlino tra Italia e Francia. Ceniamo in un ristorantino all’aperto con gli occhi fissi sul maxischermo di un bar vicino. Io e i miei famigliari siamo tra i pochi italiani presenti nella cittadina francese e quando l’Italia va sotto di un goal, tutta Sault sembra venirci addosso con un urlo gigantesco. Ma poi pareggiamo, Zidane viene espulso e vinciamo anche ai rigori vendicando gli Europei del 2000.
In questo particolare momento in cui ciclismo e calcio sembrano fondersi in un tutt’uno nella mia personale esperienza, mi tornano inevitabilmente alla memoria i versi della canzone di Paolo Conte dedicata a Bartali, con i “francesi che s’inca…no”. I cittadini di Sault sono ammutoliti e nel dopo partita qualcuno particolarmente rassegnato viene persino ad ammirare la mia Colnago e mi chiede di poter accarezzare la sua vernice setosa mentre carico in auto i bagagli. Con malcelata soddisfazione spiego anche a loro le ragioni dell’eccellenza del “made in Italy”. Che straordinario giorno è stato il 9 luglio 2006!
L’indomani, dopo aver acquistato una copia ricordo di un quotidiano locale con una gigantesca foto di Zidane in lacrime a tutta pagina, ripartiamo verso Gap e Briançon con la piacevole sensazione che danno le gambe un po’ stanche dopo aver fatto del sano ciclismo e con la convinzione che essere italiani a volte è un godimento superlativo.   


Marco Fortis