sabato 9 luglio 2005

Marmotte - Bourg d’Oisans

Km 174 (180 Km sul mio cronometro), dislivello: 4.850 m.
Col du Glandon (al posto della Croix de Fer, la cui discesa non era transitabile), Col du Télégraphe, Col du Galibier, Alpe d’Huez

Le griglie sono disperse tra le vie interne di Bourg d’Oisans. Sono in riva a un piccolo fiume presso un ponte di legno. Qualche italiano qua e là, per lo più emiliani. Freddo. Cielo coperto.
Per fortuna ho portato la calzamaglia (che ho messo sotto i pantaloncini) e lo zaino con i ricambi. Partenza in ritardo rispetto alle 7:15 previste. Io parto alle 7:34. Arriverò alle 18:06. Tempo totale stimato alla fine della gara sul mio cronometro: 10h32’.
Partenza pianeggiante fino ad Allemont (circa 10 Km) in gruppo ad oltre 40 Km/h, schivando varie rotonde. Subito si sale sopra una prima diga, un altro breve tratto pianeggiante, poi cominciano le rampe, alcune davvero toste. La salita sembra eterna. Il fiume di corridori sale compatto. Ad un certo punto, dopo aver attraversato un borgo, la strada picchia in discesa verso il fondovalle; il problema è che poi una volta arrivati giù bisogna risalire subito con pendenze assai elevate. Superato in apnea questo difficile tratto si procede con vari tornanti fino ad arrivare ad una seconda diga. Si costeggia il lago e finalmente ci si avvicina al bivio per la Croix de Fer (che è inagibile). In questa edizione della Marmotte si gira per il vicino Col du Glandon e raggiuntolo nella nebbia faccio breve sosta per riempire le borracce e buttare giù qualche piccolo panino al miele. Fin qui bene: sono arrivato al colle in circa 2 ore dalla partenza. Gran caos di corridori fermi che intasano la strada. Ci copriamo e poi via. Discesa pericolosissima. Vengo superato da decine di concorrenti spericolati. Alcuni cadono malamente sui primi tornanti, altri finiscono fuori strada nei prati. Via vai di ambulanze. A fondovalle perdo una borraccia su un dosso e spreco tempo prezioso per tornare indietro a recuperarla.
Si procede a questo punto nella vallata ventosa in leggera pendenza verso St Michel de Maurienne. Tratto noioso, assieme a vari gruppetti che cerco di risalire mettendomi nella scia dei più veloci. Poi si approccia finalmente il Col du Télégraphe. All’inizio spingo abbastanza bene. Ma affiora qualche piccolo accenno di crampo che mi preoccupa (vista la notevole distanza ancora da percorrere) e mi mette di malumore. Rallento prudentemente l’andatura. Non ho proprio l’allenamento dell’anno scorso. Quest’anno ho fatto solo quattro uscite di oltre 100 Km di cui solo tre con più di 3.000 m. di dislivello. Un po’ poco per affrontare imprese come questa. Alla fine scollino con circa mezz’ora di ritardo sulla tabella di marcia programmata e senza avere l’impressione di essere davvero me stesso. E’ chiaro che sarà ormai impossibile finire la corsa entro le 9h15’ fissate dall’organizzazione per conseguire il Brevetto d’oro e perciò tiro un po’ i remi in barca. Cercherò di finire la prova con spirito cicloturistico (per modo di dire…). Dopo aver riempito le borracce, subito discesa veloce su Valloire. Altra tappa di una decina di minuti al ristoro; finalmente un panino col salame dopo tanti dolciumi! E via verso il mitico Col du Galibier. Lo conosco già per averlo fatto una volta in discesa in auto. Ma in bici è un’altra cosa…

All’inizio si penetra profondamente nella valle; la pendenza non sembra elevata ma si sente. Si fa sentire purtroppo anche la vecchia tendinite al ginocchio (forse anche per il freddo) e il subdolo accenno di crampi che va e viene continua a preoccuparmi. Vado su prudentemente senza forzare, anche se potrei fare di più. E’ molto più redditizia l’andatura un po’ più avanti, quando la strada si impenna al primo tornante. La fatica è la stessa, ma almeno si guadagnano metri di dislivello più rapidamente. Man mano che salgo mi sembra di migliorare un po’, ma la fatica si avverte, eccome. Finalmente, dopo una serie di tornanti, un lungo rettilineo ed altri tornanti, l’ultimo Km. Mi produco in uno scatto d’orgoglio sulle rampe conclusive. Arrivo sul Galbier verso le 14:35. Sono ormai un’ora abbondante oltre i tempi previsti. Meglio rassegnarsi e pensare soprattutto a portare a casa la pellaccia. Perdo un altro po’ di tempo al ristoro (forse una decina di minuti). C’è un caos infernale ed ho paura a lasciare la bici incustodita per andare a prendere da bere. Alla fine trovo un angolo strategico vicino al tavolo delle vettovaglie per bivaccare. Fa un freddo cane. Mangio qualche fetta di arancia, altri panini al miele, mentre mi vesto a strati con tutto ciò che ho nello zaino per affrontare la discesa. La picchiata è ardua con un forte vento gelato che fa sbandare la bici da tutte le parti. La strada è piena di buche e dissestata. Meglio non rischiare. Il Col du Lautaret sembra non arrivare mai. Sono 8 Km di discesa da brividi. Il fatto è che non è finita. Per arrivare a Bourg d’Oisans ci sono altri 40 Km di discesa, falsopiani e contropendenze. Fino a La Grave la strada è sempre pericolosissima e l’asfalto pessimo. Il vento smette e ora comincia a piovere. Brutte gallerie male illuminate prima e dopo il paese. I falsopiani sono interminabili. Senza vento però pedalo meglio e nonostante la pioggia sono più audace. Finalmente appare il grande bacino idroelettrico del Barrage du Chambon che si costeggia superando anche alcune fastidiose risalite. Ritornano alla memoria le tappe del Tour viste alla televisione con i corridori diretti verso la scalata conclusiva dell’Alpe d’Huez. Oggi tocca anche a noi cicloamatori, solitari ed anonimi lungo questo interminabile percorso appesantito dallo zaino sulle spalle. Ora la temperatura è meno rigida e mi tolgo qualche indumento. Superata la diga e il bivio per Les Deux Alpes si scende veloci fino a Le Freney, poi comincia un tratto di risalita che sulla carta farebbe paura dopo tanti Km, ma ormai non mi fa più né caldo né freddo. Infatti, la voglia di affrontare la salita finale all’Alpe d’Huez e di farla finalmente finita è come un anestetico. Arrivati a fondovalle fa persino caldo e gli ultimi 5 Km prima di Bourg d’Oisans non finiscono mai. Mi fermo al ristoro e mangio rapidamente qualche fetta di pomodoro, una mousse di mela concludendo con un po’ di maltodestrine. Parto a bomba per la salita e quando l’ho già imboccata mi pento di non aver lasciato lo zaino pesante nell’auto parcheggiata a poche centinaia di metri. Ormai la catena e il copertone di riserva proprio non servono, così come tutti i capi d’abbigliamento in soprannumero, compresa la calzamaglia. Fa niente, ormai è tardi, porterò anche loro fino in cima all’Alpe d’Huez. Le prime rampe durante gli interminabili primi 2 Km sono micidiali con pendenze costantemente del 12%. Forse partendo freschi si sentirebbero meno, ma non certamente oggi dopo il Glandon e il Galibier. Si sale a 8-9 Km/h come dei fantasmi: è una lunga processione di esseri sofferenti.
Ora fa un caldo torrido e si suda come nel deserto. Ad ogni tornante, quando la strada spiana un po’, approfitto per bere. Finalmente si arriva a La Garde dove le pendenze lasciano un po’ rifiatare. Ma si sale sempre lentamente. Sono sempre più prudente perché il ginocchio mi fa male quando sforzo fuorisella e i crampi sembrano sempre lì per arrivare da un momento all’altro. I 21 tornanti scorrono col contagocce. A Huez mi fermo a riempire le borracce, poi ancora su con le ultime forze. Suona il cellulare. E’ Maurizio, che mi pensava già in albergo; si scusa e mi invita a non perdere tempo e posizioni. A 3 Km dall’arrivo mi decido: o la va o la spacca. Comincio a spingere sui pedali a ritmi man mano sempre più decorosi: 12…, 13…, 14 Km/h. I crampi non arrivano e per fortuna il ginocchio ancora tiene. Accelero ancora oltre i 18-19 Km/h superando decine di concorrenti. Chiudo in bellezza, forse anche per un reverente omaggio ai due tornanti finali dedicati a Pantani, il terzultimo e il penultimo. Superato l’ultimo tornante, dedicato a Guerini, ed entrato in paese inserisco addirittura il turbo e taglio il traguardo a 28 Km/h con ultimo forcing. Sono le 18:06, sufficienti almeno per il Brevetto d’Argento. Che dura questa Marmotte! Roba da fachiri del pedale.

Marco Fortis