Km 174 (180 Km sul mio
cronometro), dislivello: 4.850 m.
Col du Glandon (al posto della Croix de Fer, la cui discesa non era
transitabile), Col du Télégraphe, Col du Galibier, Alpe d’Huez
Le griglie sono disperse tra le
vie interne di Bourg d’Oisans. Sono in riva a un piccolo fiume presso un ponte
di legno. Qualche italiano qua e là, per lo più emiliani. Freddo. Cielo
coperto.
Per fortuna ho portato la calzamaglia (che ho messo sotto i
pantaloncini) e lo zaino con i ricambi. Partenza in ritardo rispetto alle 7:15
previste. Io parto alle 7:34. Arriverò alle 18:06. Tempo totale stimato alla
fine della gara sul mio cronometro: 10h32’.
Si procede a questo punto nella
vallata ventosa in leggera pendenza verso St Michel de Maurienne. Tratto
noioso, assieme a vari gruppetti che cerco di risalire mettendomi nella scia
dei più veloci. Poi si approccia finalmente il Col du Télégraphe. All’inizio
spingo abbastanza bene. Ma affiora qualche piccolo accenno di crampo che mi
preoccupa (vista la notevole distanza ancora da percorrere) e mi mette di
malumore. Rallento prudentemente l’andatura. Non ho proprio l’allenamento
dell’anno scorso. Quest’anno ho fatto solo quattro uscite di oltre 100 Km di
cui solo tre con più di 3.000 m. di dislivello. Un po’ poco per affrontare
imprese come questa. Alla fine scollino con circa mezz’ora di ritardo sulla
tabella di marcia programmata e senza avere l’impressione di essere davvero me
stesso. E’ chiaro che sarà ormai impossibile finire la corsa entro le 9h15’
fissate dall’organizzazione per conseguire il Brevetto d’oro e perciò tiro un
po’ i remi in barca. Cercherò di finire la prova con spirito cicloturistico
(per modo di dire…). Dopo aver riempito le borracce, subito discesa veloce su
Valloire. Altra tappa di una decina di minuti al ristoro; finalmente un panino
col salame dopo tanti dolciumi! E via verso il mitico Col du Galibier. Lo
conosco già per averlo fatto una volta in discesa in auto. Ma in bici è un’altra
cosa…
All’inizio si penetra
profondamente nella valle; la pendenza non sembra elevata ma si sente. Si fa
sentire purtroppo anche la vecchia tendinite al ginocchio (forse anche per il
freddo) e il subdolo accenno di crampi che va e viene continua a preoccuparmi.
Vado su prudentemente senza forzare, anche se potrei fare di più. E’ molto più
redditizia l’andatura un po’ più avanti, quando la strada si impenna al primo
tornante. La fatica è la stessa, ma almeno si guadagnano metri di dislivello
più rapidamente. Man mano che salgo mi sembra di migliorare un po’, ma la
fatica si avverte, eccome. Finalmente, dopo una serie di tornanti, un lungo
rettilineo ed altri tornanti, l’ultimo Km. Mi produco in uno scatto d’orgoglio
sulle rampe conclusive. Arrivo sul Galbier verso le 14:35. Sono ormai un’ora
abbondante oltre i tempi previsti. Meglio rassegnarsi e pensare soprattutto a
portare a casa la pellaccia. Perdo un altro po’ di tempo al ristoro (forse una
decina di minuti). C’è un caos infernale ed ho paura a lasciare la bici
incustodita per andare a prendere da bere. Alla fine trovo un angolo strategico
vicino al tavolo delle vettovaglie per bivaccare. Fa un freddo cane. Mangio
qualche fetta di arancia, altri panini al miele, mentre mi vesto a strati con
tutto ciò che ho nello zaino per affrontare la discesa. La picchiata è ardua
con un forte vento gelato che fa sbandare la bici da tutte le parti. La strada
è piena di buche e dissestata. Meglio non rischiare. Il Col du Lautaret sembra
non arrivare mai. Sono 8 Km di discesa da brividi. Il fatto è che non è finita.
Per arrivare a Bourg d’Oisans ci sono altri 40 Km di discesa, falsopiani e
contropendenze. Fino a La Grave la strada è sempre pericolosissima e l’asfalto
pessimo. Il vento smette e ora comincia a piovere. Brutte gallerie male
illuminate prima e dopo il paese. I falsopiani sono interminabili. Senza vento
però pedalo meglio e nonostante la pioggia sono più audace. Finalmente appare
il grande bacino idroelettrico del Barrage du Chambon che si costeggia superando
anche alcune fastidiose risalite. Ritornano alla memoria le tappe del Tour
viste alla televisione con i corridori diretti verso la scalata conclusiva
dell’Alpe d’Huez. Oggi tocca anche a noi cicloamatori, solitari ed anonimi
lungo questo interminabile percorso appesantito dallo zaino sulle spalle. Ora
la temperatura è meno rigida e mi tolgo qualche indumento. Superata la diga e
il bivio per Les Deux Alpes si scende veloci fino a Le Freney, poi comincia un
tratto di risalita che sulla carta farebbe paura dopo tanti Km, ma ormai non mi
fa più né caldo né freddo. Infatti, la voglia di affrontare la salita finale
all’Alpe d’Huez e di farla finalmente finita è come un anestetico. Arrivati a
fondovalle fa persino caldo e gli ultimi 5 Km prima di Bourg d’Oisans non
finiscono mai. Mi fermo al ristoro e mangio rapidamente qualche fetta di
pomodoro, una mousse di mela concludendo con un po’ di maltodestrine. Parto a
bomba per la salita e quando l’ho già imboccata mi pento di non aver lasciato
lo zaino pesante nell’auto parcheggiata a poche centinaia di metri. Ormai la
catena e il copertone di riserva proprio non servono, così come tutti i capi
d’abbigliamento in soprannumero, compresa la calzamaglia. Fa niente, ormai è
tardi, porterò anche loro fino in cima all’Alpe d’Huez. Le prime rampe durante
gli interminabili primi 2 Km sono micidiali con pendenze costantemente del 12%.
Forse partendo freschi si sentirebbero meno, ma non certamente oggi dopo il
Glandon e il Galibier. Si sale a 8-9 Km/h come dei fantasmi: è una lunga
processione di esseri sofferenti.
Ora fa un caldo torrido e si suda come nel deserto. Ad ogni tornante, quando la strada spiana un po’, approfitto per bere. Finalmente si arriva a La Garde dove le pendenze lasciano un po’ rifiatare. Ma si sale sempre lentamente. Sono sempre più prudente perché il ginocchio mi fa male quando sforzo fuorisella e i crampi sembrano sempre lì per arrivare da un momento all’altro. I 21 tornanti scorrono col contagocce. A Huez mi fermo a riempire le borracce, poi ancora su con le ultime forze. Suona il cellulare. E’ Maurizio, che mi pensava già in albergo; si scusa e mi invita a non perdere tempo e posizioni. A 3 Km dall’arrivo mi decido: o la va o la spacca. Comincio a spingere sui pedali a ritmi man mano sempre più decorosi: 12…, 13…, 14 Km/h. I crampi non arrivano e per fortuna il ginocchio ancora tiene. Accelero ancora oltre i 18-19 Km/h superando decine di concorrenti. Chiudo in bellezza, forse anche per un reverente omaggio ai due tornanti finali dedicati a Pantani, il terzultimo e il penultimo. Superato l’ultimo tornante, dedicato a Guerini, ed entrato in paese inserisco addirittura il turbo e taglio il traguardo a 28 Km/h con ultimo forcing. Sono le 18:06, sufficienti almeno per il Brevetto d’Argento. Che dura questa Marmotte! Roba da fachiri del pedale.
Ora fa un caldo torrido e si suda come nel deserto. Ad ogni tornante, quando la strada spiana un po’, approfitto per bere. Finalmente si arriva a La Garde dove le pendenze lasciano un po’ rifiatare. Ma si sale sempre lentamente. Sono sempre più prudente perché il ginocchio mi fa male quando sforzo fuorisella e i crampi sembrano sempre lì per arrivare da un momento all’altro. I 21 tornanti scorrono col contagocce. A Huez mi fermo a riempire le borracce, poi ancora su con le ultime forze. Suona il cellulare. E’ Maurizio, che mi pensava già in albergo; si scusa e mi invita a non perdere tempo e posizioni. A 3 Km dall’arrivo mi decido: o la va o la spacca. Comincio a spingere sui pedali a ritmi man mano sempre più decorosi: 12…, 13…, 14 Km/h. I crampi non arrivano e per fortuna il ginocchio ancora tiene. Accelero ancora oltre i 18-19 Km/h superando decine di concorrenti. Chiudo in bellezza, forse anche per un reverente omaggio ai due tornanti finali dedicati a Pantani, il terzultimo e il penultimo. Superato l’ultimo tornante, dedicato a Guerini, ed entrato in paese inserisco addirittura il turbo e taglio il traguardo a 28 Km/h con ultimo forcing. Sono le 18:06, sufficienti almeno per il Brevetto d’Argento. Che dura questa Marmotte! Roba da fachiri del pedale.
Marco Fortis